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Calcio

A chi comanda il calcio interessano solo i campionati in cui gira tanto denaro

Un Paese incapace di prendere delle decisioni anche sullo sport, la cosa meno seria in questo momento. Il grande universo sotterraneo del calcio dilettantistico è sospeso nel limbo

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foto: cifonenews.it

“Sono solo ventidue persone che corrono dietro a un pallone”. Quante volte avrete sentito queste parole? Tante, immaginiamo. Si tratta di uno dei più comuni tra i luoghi comuni, delle banalità più vuote e prive di ogni chiave di lettura ragionevole che comprenda una chiara visione delle cose nel 2020.

Il calcio, ad oggi, è un’industria. C’è chi dice che rappresenta il terzo tra i settori più importanti del nostro Paese. Al netto di analisi di macroeconomia, che lasciamo a chi è più esperto, forse sarebbe il caso di considerare che questa frase, al contrario del detto di cui sopra, è la pura realtà.

Altra premessa, fondamentale: il calcio in sé non è in alcun modo la priorità del Paese. Dunque, piano con i benaltrismi. Il gioco del pallone non è importante. La cosa più importante è la salute dei cittadini. Poste queste doverose condizioni, possiamo procedere con un’analisi serena di quanto è malato questo mondo, e di quanto fedelmente rispecchia la situazione dell’intero Paese.

Non esiste solo la Serie A. Il grande universo sotterraneo del calcio dilettantistico

Pomeriggio, termina l’allenamento. I calciatori tolgono gli scarpini. Fa freddo, l’impianto di riscaldamento è vecchio e non consente troppi lussi. La doccia va fatta in fretta, anche se c’è sempre quel compagno troppo lento che ti blocca, perché lui ci mette 10′ in più di te. Possiamo mica lasciarlo al campo e non tornare a casa tutti insieme? Possiamo farlo tornare a piedi? Certo che no, la macchina è una per tutti, per chi guida e per chi ha ‘il passaggio’. E poi, almeno si sta insieme, si fa gruppo. Anche se spesso si finisce per palesare dei problemi. “Io devo ricevere due mensilità”. “A me mancano tre stipendi”. “Non so se riesco a pagare l’affitto della padrona di casa”.

Quella che abbiamo descritto non è altro che la quotidianità di centinaia di squadre dilettantistiche, semiprofessionistiche, e talvolta anche professionistiche del nostro calcio. Un universo gigantesco, sotterraneo, troppo spesso messo sotto il tappeto, come la polvere. Un enorme mare magnum di squadre piene di rattoppi, dove la società è in perenne affanno per garantire il pagamento degli stipendi, dove le strutture sono fatiscenti.

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Dove ci sono migliaia e migliaia di persone, la cui vita e il cui conto in banca sono importanti nella stessa identica maniera di quella di un operaio. Magazzinieri, massaggiatori, preparatori, addetti stampa, addetti ai lavori. La maggior parte di loro ha delle famiglie da mantenere.

Senza parlare degli stessi calciatori, che spesso hanno un ingaggio equiparabile a un rimborso spese, e che troppo spesso sono costretti a bussare alla porta dei presidenti per ottenere semplicemente ciò che spetta loro. Le società, che siano o meno colpevoli, sono in grande difficoltà economica.

Se fermiamo i campionati, e non giochiamo più una singola partita sino al termine della stagione, fermiamo la vita lavorativa di un numero davvero grande di risorse che ruotano attorno al pallone, ma che spesso non consideriamo, semplicemente perché non scendono in campo.

In Italia non siamo capaci di prendere delle decisioni

I dibattiti televisivi, sui media, sui social, sono quasi sempre incentrati sull’unica cosa che sembra interessare: le grandi squadre di Serie A. E non parliamo delle discussioni tra tifosi. Anzi. I vertici del calcio, nelle ultime settimane, stanno discutendo solo e unicamente dell’unico campionato di calcio che sembra essere davvero importante.

La ragione, inutile nasconderla o usare giri di parole, è solo e unicamente riconducibile al dio denaro. I soldi, questo grande motore immobile, che pare essere l’unico motivo per cui si può decidere se un torneo sportivo possa andare avanti o meno. Sono tutti lì, i vertici del nostro calcio, tutti divisi, ognuno spinto da una motivazione. Chi dice che si deve giocare per forza. Chi propone le porte chiuse. Chi le partite al Sud. C’è chi vocifera che si possa giocare a campo neutro.

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Il dibattito è fervente. C’è un particolare, che forse sfugge a molti. Ma come la mettiamo con i campionati dalla Serie B a scendere? Possiamo sapere se il Benevento sarà promosso in Serie A con 22 punti di vantaggio sulla terza? Abbiamo diritto di capire quali saranno le squadre che retrocederanno in Serie C? Ma poi, le retrocessioni e le promozioni ci saranno?

E chi verrà promosso dalla Serie C alla B? Davvero vogliamo usare il sorteggio per stabilire la quarta promossa? Per quale motivo la decima classificata del girone B può avere le stesse possibilità di guadagnare la promozione rispetto a una delle seconde in classifica dei tre gironi? E la Serie D? L’Eccellenza?

È giusto riprendere a giocare? Dovremmo fermarci? Dovremmo riprendere, ma a porte chiuse? Non sta certo a noi decidere. D’altronde, il calcio non è la priorità. Ma prendere delle decisioni serie, che considerino tutto il movimento, quella è la priorità. Promozioni delle prime classificate, retrocessioni delle ultime classificate. Possibilità di giocare solo pochissime partite (magari anche in campo neutro) che siano playoff tra le due squadre susseguenti a chi ha diritto alla promozione diretta, e playout tra le due squadre precedenti a chi retrocede direttamente. Oppure, cristallizzare le classifiche. Assegnare i titoli, o non assegnarne nessuno.

Le soluzioni potrebbero esserci. Decidere qual è quella giusta, spetta a chi sta in alto. C’è in ballo un intero movimento, e quasi due stagioni sportive. Le scelte di questa stagione, si ripercuotono sulla prossima. Sui destini di centinaia di società, e di decine di migliaia di persone. Altrove (Francia, Germania) hanno già deciso. Prendiamoci le responsabilità, per una volta.

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Nato a Nocera Inferiore il 10 febbraio 1994, è fotoreporter e giornalista nel settore dell'informazione sportiva. Laureato con lode in Scienze della Comunicazione nel 2016 presso l'Università degli Studi di Salerno, e nel 2018 in Corporate Communication e Media nello stesso ateneo. Passionale, creativo, amante della comunicazione face-to-face, è da sempre patito di calcio, del quale è affascinato in ogni sua sfaccettatura. Ha praticato la pallacanestro a livello agonistico per diversi anni. Tra i suoi hobby non si possono tralasciare la musica, la fotografia e la cucina.

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